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UN TEMPO DI GUERRA E UN TEMPO DI PACE
"C'è un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo di guerra
e un tempo di pace"
I recenti avvenimenti in Israele, e nel mondo, il riaccendersi delle battaglie,
il rischio di una guerra più estesa, ci ripropongono amaramente la dualità
così ben definita dal re Salomone (Qoelet 3, 8): "c’è
un tempo di guerra e c’è un tempo di pace".
Tra i ventotto tempi spiegati da Salomone, questi sono gli ultimi due, quindi
i conclusivi. Sarà l’ultimo tipo di dualità da risolvere.
Pur se così chiaramente negativa, la guerra è un’esperienza
diffusa e frequente. La si potrebbe paragonare alla malattia del corpo umano.
La guerra è una specie di malattia della società, che ritorna
ad intervalli più o meno regolari, e che esige un alto prezzo, in vite
e in risorse economiche. D’altra parte, nella vita umana le malattie sono
spesso utili, sono passi in avanti, che aiutano la persona a crescere, a purificarsi.
Nel caso delle guerre non è però così facile vederne i
risultati positivi. Cos’ha da dire La Cabalà. a proposito?
La parola "guerra", "milchamà", vale numericamente
123, un numero che simboleggia il passaggio dall’unità alla molteplicità:
tre passi, 1, 2, 3, che vanno dall’unione alla divisione, alla frammentazione.
Dalla molteplicità alla conflittualità il passo purtroppo è
breve. Inoltre, "milchamà" viene da "lechem, "pane",
una chiara allusione alle cause sovente economiche delle guerre. Capovolgendo
quelle tre lettere, emerge la parola "machal" (Mem - Cheit –
Lamed), che significa "cancellare i debiti, perdonare". Probabilmente,
c’è un tipo di "karma" che gli esseri umani non riescono
ad eliminare se non tramite le guerre. Il problema è che, in quel genere
di situazioni, è oltremodo facile produrne dell’altro, ancora più
negativo. Forse questa è la causa del fatto che, dopo millenni di storia,
si ricade ancora in tali dinamiche di violenza, gestita e diretta dagli stati
o da gruppi di guerriglieri.
Ma cosa dice la Cabalà. della guerra? Secondo lo Tzemach Tzedeq, esistono
due livelli alla quale essa può venire combattuta. Il più alto
è nel mondo di Atzilut, dove, contrariamente a quanto abbiamo studiato
in molte occasioni, ci sono ancora delle klipot (forze del male), sebbene sottilissime.
Nel mondo di Atzilut, per vincere la guerra, è sufficiente aumentare
la luce. Così facendo ogni oscurità viene scacciata. Aumentare
la luce significa inondare la propria anima con la consapevolezza dell’esistenza
di Dio, e immergersi con totalità nei Suoi insegnamenti, così
come vengono trasmessi per mezzo delle Scritture. Qui la Cabalà. gioca
un ruolo fondamentale, poiché suo tramite è possibile contattare
la Or Ganuz, la Luce Nascosta, cioè quella parte extra di luce che non
è ancora penetrata nel mondo.
Il secondo modo di combattere appartiene ai mondi inferiori, quelli dell’intelligenza,
delle emozioni e delle azioni. Qui la guerra è ciò che conosciamo,
un confronto ravvicinato con una parte che si pone come opposto. Più
tale "ombra" si avvicina, è più dura diventa la battaglia.
Infatti, in ebraico "qarov", "vicino", e "qrav",
"battaglia", si scrivono nello stesso identico modo. Nei mondi inferiori
la battaglia si vince solo attivando questi tre livelli simultaneamente:
1) Intelligenza. Occorre una chiara e precisa percezione delle forze in campo;
lo studio, la pianificazione e la realizzazione di strumenti bellici atti a
potenziare le proprie risorse e probabilità di vittoria.
2) Sentimento ed emozione. È indispensabile trovare il giusto atteggiamento
interiore, che non può essere di odio, di rabbia o di vendetta, ma nemmeno
di paura o di simpatia per il nemico. Qui intervengono le arti marziali orientali,
col loro insegnamento fondamentale. Se si vuole vincere una battaglia occorre
essere calmi, liberi, sgombri da eccessi di reattività emotiva. Bisogna
essere in uno stato di meditazione.
3) Azione. Occorre agire, muoversi, battersi, rischiare la vita, ritirarsi,
se necessario, fino a quando sia possibile tornare in avanti.
Sta a noi scegliere quale dei due tipi di guerra preferiamo, o se li vogliamo
entrambi. La Cabalà. è l’arma del mondo di Atzilut.
Un’altra osservazione. Per passare dalla guerra (123) alla pace (376),
secondo le ghematrie, è necessario aggiungervi 253. Si tratta di un numero
molto misterioso, e ci sono ben poche parole di quel valore. Forse, il suo aspetto
più interessante, è che si tratta del triangolo di 22, cioè
della somma di tutti i numeri interi, da 1 a 22. Essendoci ventidue lettere
nell’alfabeto ebraico, ne consegue che il loro studio concatenato, unito,
mistico, cabalistico, è ciò che porta dalla guerra alla pace.
Oltre alle loro caratteristiche individuali, le lettere ebraiche possiedono
un aspetto collettivo. Esiste un modo di vederle come ventidue stadi di un unico
cammino evolutivo, sia dall’alto al basso, che dal basso all’alto.
Ci proponiamo un giorno, be-ezrat Ha Shem, di pubblicare qualcosa su questo
argomento.
Infine, vediamo la ghematria 253. Corrisponde all’espressione: "Zekher
HaShem", "la memoria di Dio", frase che compare alcune volte
nella Bibbia, con significati diversi. L’unico modo per trasformare una
guerra in pace è di "ricordarsi di Dio", o meglio ancora, "fare
memoria di Dio". Se è vero che tale consapevolezza dovrebbe accompagnarci
ogni momento, in tempo di guerra essa diventa assolutamente indispensabile.
È solo riportando alla memoria lo stato paradisiaco dal quale la nostra
anima è stata tratta, che troviamo il balsamo necessario per lenire le
ferite.
"Memoria del Nome". Si tratta dell’arma più potente!
In ultima analisi, la più difficile e dura di tutte le guerre è contro Edom,
il "rosso", il giudizio, le Ghevurot non addolcite. Edom è il termine codice
che indica il quarto e più difficile di tutti gli esili subiti dal popolo ebraico.
Duemila anni fa era l’impero romano; oggi come nel passato, Edom è ogni impero
che, tramite o forza bruta, o forza economica e diplomatica, impedisce la ricostruzione
del Tempio, o vuole togliere Gerusalemme agli Ebrei. Quest’ultimo verso è molto
significativo (Salmo 137, 7):
"Ricorda, oh Dio, ai figli di Edom il giorno di Gerusalemme, a coloro che dicono:
Distruggetela, distruggetela, fino al suo fondamento."
Questo verso contiene un’allusione alla guerra finale che i figli di
Edom faranno contro Gerusalemme. Visto che siamo in tema di guerre, è
noto che, nella letteratura "apocalittica", il tema della guerra catastrofica
che precede la redenzione finale è molto frequente. Nella tradizione
ebraica si chiama a volte: la guerra di Gog e Magog. Senza entrare nel merito
di un così vasto soggetto, si tratta di una guerra che pone fine a tutte
le guerre, una specie di gran finale. Lo scrittore di queste righe non è
in grado di dire se queste idee siano semplici simboli allegorici, o se vadano
prese sul serio. Può darsi che entrambi queste ipotesi siano vere. C'è
da aggiungere, che secondo Yalkut Shimoni, una collezioni di Midrashim (tradizioni
orali), la guerra finale della storia verrà combattuta tra i "bnei
Edom", i popoli occidentali, e i "bnei Ishmael", i popoli arabi.
Ritornando al verso precedente, il grido di battaglia lanciato da Edom è, in
ebraico: "Aru, Aru". Questa radice significa varie cose, oltre che "distruggere",
tra cui "rivelare", "mettere a nudo", e anche "svegliare". È la radice-porta
della parola "ervà", che significa "organo sessuale". Nell’Albero
della Vita, Yesod, "Fondamento",
è la Sefirà che governa la sessualità. C’è dunque, presente in questo verso,
la simbologia di una guerra fatta contro Gerusalemme (e gli Israeliti) nel tentativo
di macchiare lo Yesod, la base,
di annullare le regole etiche ebraiche e universali che governano la sessualità.
Questo è un altro aspetto della guerra interiore, che viene combattuta intorno
alla parte più santa e più profonda di ciascuno di noi, per conquistarne il
controllo della forza vitale.
L’augurio e la benedizione più sincera è di non farci sconfiggere,
e di trasformare il grido di battaglia delle forze del giudizio severo in "Svegliatevi,
svegliatevi"! Così facendo, il nemico ci darà una mano, passando
involontariamente dalla nostra parte. E questo è l’unico vero modo
di vincere battaglie e guerre, non vanificando il nemico, ma convertendolo,
e portandolo dalla nostra parte.
Altri articoli di attualità interpretata dal punto di vista ebraico
e cabalistico:
Una torre di potenza è il Nome di Dio
(sul disastro delle torri di New York)