LE DIECI PIAGHE D'EGITTO
Ogni festa del calendario ebraico ha un’inesauribile ricchezza
di significati, e secondo l’approccio che abbiamo nel viverla
e nello studiarla, ci arrivano insegnamenti preziosi. In quest’articolo
vorremmo occuparci di quell’aspetto di Pessach che riguarda
il ritrovamento della libertà. È un tema molto importante, che
ricorre con gran frequenza nell’Haggadah: un popolo di schiavi
che viene liberato dall’asservimento, e si ritrova libero, pur
se nel deserto, non certo avvenimenti di tutti i giorni.
Un altro elemento che vorremmo portare all’attenzione, presente
nelle festività ebraiche e nel modo col quale vengono celebrate,
sta nella consapevolezza che il farne memoria non è solo un
atto pio e devoto, di un popolo fedele alle sue tradizioni,
e che non vuole dimenticarle. Nel celebrare Pessach, in realtà
la facciamo rivivere, e riportiamo al presente le qualità spirituali
che si erano manifestate allora, ricevendone gli stessi doni
miracolosi, sebbene ad un livello soprattutto spirituale.
Potrebbe essere strano il discorso della schiavitù alle popolazioni
che vivono nelle ben pasciute nazioni dell’occidente, o del
mondo industriale. Abbiamo molti diritti, i lavoratori sono
ben pagati, ci si può esprimere liberamente, e i mass media
riportano tutta una vasta gamma d’opinioni. Sembra dunque di
vivere in pace, in libertà e in democrazia. Dov’è il faraone,
con la casta sacerdotale, dove sono le sua guardie con le fruste?
Chi di noi deve fare mattoni dalla mattina alla sera, magari
rischiando di vedersi i figli maschi presi e gettati nel fiume?
Sia chiaro: la storia umana è in continuo
mutamento, e gli eventi si presentano con un’enorme varietà
di forme e d’apparenze. Tuttavia, ci ammonisce
il più saggio tra gli esseri viventi, il re Salomone (Qoèlet
cap. 1):
[4] Una generazione va, una generazione viene
ma la terra resta sempre la stessa.
…………………………….
[9] Ciò che è stato sarà
e ciò che si è fatto si rifarà;
non c'è niente di nuovo sotto il sole.
Lungi dall’essere semplici considerazioni
pessimistiche di un vecchio re, queste parole contengono preziosi
avvertimenti. Gli esseri umani hanno vari grandi difetti: e
tra loro orgoglio e arroganza. Ogni generazione tende a vedersi
più evoluta e colta delle precedenti, liberata dai problemi
che le piagavano, più tollerante, moderna e democratica. Indubbiamente
c’è un processo evolutivo in atto nella storia, ma non è né
automatico né lineare. Ci sono alti e bassi, e gli avanzamenti
sono spesso seguiti da involuzioni e decadenze. Spesso, tali
decadenze sono in concomitanza con un eccessivo arricchirsi,
e un “liberarsi” dei principi etici fondamentali, una tendenza
a giustificare l’abolizione delle norme etiche fondamentali,
che vengono giuticate come “sorpassate”, o “pregiudizi”.
Il saggio non si fa catturare da questi luoghi
comuni, e non prende niente per scontato, certo non le diffuse
sensazioni di essere un popolo “progredito ed evoluto”.
I midrashim riportano ampi particolari su
come fosse la civiltà egiziana nel periodo immediatamente precedente
all’Esodo dei Figli d’Israele. Vediamo se vi è qualcosa di famigliare.
Si trattava di una civiltà molto opulenta, tecnologicamente
la più avanzata di tutta la sua area. Sia le scienze che le
filosofie vi prosperavano. Agricoltura, costruzioni, medicina,
tutto era all’avanguardia. Ma non era una ricchezza onesta e
spontanea, bensì si basava in gran parte sul lavoro degli schiavi,
cioè di mano d’opera mal pagata, o per niente pagata. Allora
gli schiavi risiedevano sul territorio egiziano, oggi invece
sono nei paesi del mondo, sia poveri che ricchi, tenuti prigionieri da complicate
reti tessute dalle multinazionali e dai sistemi bancari internazionali.
E non è che i lavoratori europei ed occidentali
siano in condizioni spiritualmente migliori. “Schiavo” è colui
che è costretto ad occuparsi di un lavoro che lo abbruttisce,
e non può ricercare la sua vera identità, o professare verità
e neppure opinioni diverse da coloro che reggono il potere e
i suoi mezzi d’informazione.
I midrashim continuano descrivendoci la totale
mancanza d’etica sessuale nella civiltà egiziana di allora:
l’omosessualità e l’adulterio non erano solo permessi, ma tenuti
in gran considerazione, parte integrante dei diritti individuali.
Le caste elevate praticavano l’incesto. La sessualità veniva
manipolata come strumento magico per ottenere più potere, più
fama. Oggi viene adoperata come strumento pubblicitario, come
fonte di facili guadagni.
Per venire dominato più facilmente, uno schiavo
va tenuto in uno stato d’autodisprezzo. Se una persona si alza
la mattina, e si guarda allo specchio con un conato di vomito,
allora il suo controllo è assicurato. Tramite la quasi totale
abolizione delle norme etiche, che la cultura sbandiera come
libertà ed emancipazione, la gente cade nel trabocchetto del
permissivismo, spegne il fanale di guida della coscienza e del
Timor di Dio, e si dedica a tutto ciò che vuole. Ma dentro,
nel profondo, ogni essere umano sa se si trova sulla via giusta
o meno, e l’abitudine alla trasgressione non è mai totale. Ognuno
di noi sente quando sta sbagliando, con o senza le giustificazioni
e le razionalizzazioni del potere culturale.
Le norme etiche universali non sono state inventate da
qualcuno in vena di provocare dei complessi di colpa negli altri.
Esse sono l’esatto equivalente umano e sociale delle leggi cosmiche,
quelle che governano la natura, o il corpo umano, violando le
quali si causano vasti danni all’ambiente o alla propria ed
altrui salute.
Ed ecco che la società degli schiavi e dei
loro padroni va alla deriva, verso la sua decadenza e prossima
scomparsa. La società egiziana di allora era teocratica, governata
da una casta sacerdotale. Quella occidentale d’oggi è laica,
ma ciò nonostante le sue redini rimangono in una cerchia ristrettissima
d’individui, nei quali ideologie, false o vere, hanno sostituito
i credi religiosi, grandi poteri scientifici e tecnologici hanno
rimpiazzato le meraviglie operate dalle pratiche della magia
e della stregoneria. Una folta schiera di saltimbanco, di giullari
di corte, di falsi profeti, li segue dovunque, tessendone le
illusorie lodi e virtù, creando spesse cortine di fumo sulle
vere intenzioni del potere dominante: quelle di sempre, ridurre
il mondo intero in schiavitù. E sui pulpiti delle loro università,
giornali, tv, ecc, questi saltimbanchi autonominatisi maestri
di vita, professori, pacifisti e difensori dei diritti umani,
esperti, giudici, uomini di cultura, commentatori, esimi medici,
giornalisti, ecc, non fanno che pronunciare calunnie, pettegolezzi,
malvagità, l’uno contro l’altro, tutti contro tutti, e certamente
contro chiunque cerchi di liberarsi di questa oppressione. Tra
improperi d’ogni sorta, scurrilità e luoghi comuni, cercano
di arruolare il maggior numero di persone in questa corsa cieca
vero il baratro finale, dove loro stessi cadranno, insieme alla
cancrena di chi rappresentano e di chi hanno ammaliato.
Non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Diceva
Rav Avraham Yitzhak Kook, uno dei pochi veri profeti del popolo
ebraico moderno (Orot M’Ofel, 8):
“Il peccato degli assassini, dei re malvagi,
e di tutti i provocatori è indelebile. …. La sua riparazione
può venire solo dallo smantellamento totale dei fondamenti della
civilizzazione contemporanea, con tutta la sua falsità ed inganno,
con tutto il suo veleno e tossicità. … al suo posto sorgerà
un regno governato dai santi (Daniele, 7,18) .
La presente civiltà scomparirà… con
tutte le leggi basate sull’iniquità, tutte le caratterizzazioni
del male. Sulle sue rovine verrà stabilito un ordine di verità
e di consapevolezza di Dio.”
E se qualcuno vuole un segno, su come distinguere
l’accozzaglia, di cui dicevamo prima, dai pochissimi profeti
rimasti, eccolo! Gli egiziani di allora come di adesso odiano
gli Ebrei! Non solo per una questione di razza, bensì perché
il popolo ebraico rappresenta il raggrupparsi di tutti coloro
che vogliono sottrarsi al giogo della malvagità, tutti coloro
che non prestano orecchio o fede alle falsità dei giullari della
corte del principe di questo mondo. Ieri erano gli Ebrei, spesso
e volentieri nel loro mirino, o perché non si piegavano al credo
ufficiale di stato, quale che fosse stato, o perché (dicevano)
una casta di banchieri ebrei stava tentando di impadronirsi
del mondo, o, più semplicemente, perché ammazzavano bambini
cristiani per prenderne il sangue e farci le matzot di Pessach.
Oggi, ben in linea con la presunta “evoluzione” della cultura,
non sono più gli ebrei ma gli israeliani, lo “stato ebraico”,
l”esercito ebraico”, i carri armati con la stella di Davide.
Ed eccoli quotidianamente descritti mentre compiono le loro
barbarie contro un popolo che, l’ultima volta che aveva avuto
uno stato in quella terra, era stato ai tempi dei sacrifici
umani (vi ricordate i Filistei?), cosa dalla quale si sono ben
guardati dall’allontanarsi. Per amore di verità, neppure allora i Filistei si erano mai organizzati in uno stato vero e proprio, rimanendo piuttosto in una serie di tribù che controllavano un territorio più o meno esteso. Al contrario, gli ebrei costruirono il regno di Davide, con capitale Gerusalemme, durato con fasi alterne almeno mille anni, prima di venire distrutto dall'impero romano.
. Sottolineiamo qui la differenza tra "stato" ed "impero". Il primo ha una base nazionale, con forti identità culturali e religiose. Il secondo è il risultato di sanguinose guerre di conquista, estese a territori del tutto estranei a tali identità, motivato dalla sola passione di dominio che divora i suoi capi. A tutti gli esimi difensori degli oppressi,
a tutti i paladini dei “combattenti per la libertà” (specializzati
in farsi saltare in aria vicino a famiglie con bambini), diamo il semplice consiglio di fare propria l’opinione secondo
la quale sarebbero stati gli israeliani del Mossad a far cadere le
torri gemelle di New York, avvertendo prima varie migliaia di
Ebrei affinché non si recassero al lavoro la mattina dell'11 settembre. Risparmierebbero
così a se stessi la fatica, e a noi la noia, delle loro elucubrazioni
pseudo filosofiche e para-politiche.
continua
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