L’UNDICESIMA SEFIRÀ
Il sefer Yetzirà, il più antico testo di Cabalà, nel capitolo primo, afferma
in modo perentorio:
“Dieci è il numero delle Sefirot ineffabili, dieci e non nove, dieci
e non undici. Intendi con sapienza, e sii saggio con intelligenza, investiga
questi numeri, e trai da loro conoscenza, il disegno è fisso nella sua purezza,
e riporta il Creatore nel Suo luogo.”
L’affermazione sul numero totale delle Sefirot non sembrerebbe lasciare
alcun spazio ad interpretazioni differenti. Tuttavia, nello studiare le
Sefirot e l’Albero della Vita , emerge chiaramente che ve ne sono undici,
in quanto, alle dieci tradizionali, se ne aggiunge una chiamata Da’at, la
conoscenza. Ecco la loro lista completa:
Keter = Corona
Chokhmà = Sapienza
Binà = Intelligenza
Da'at = Conoscenza unificante
Chesed = Amore
Ghevurà = Forza
Tiferet = Bellezza
Netzach = Eternità o Vittoria
Hod = Splendore
Yesod = Fondamento
Malkhut = Regno o Sovranità
Si noterà come, ad eccezione di Keter e di Malkhut, le altre nove Sefirot
formano tre triadi, dai significati correlati e reciprocamente interdipendenti.
Sapienza, Intelligenza e Conoscenza, sono tutte attività dell’intelletto.
Ciò è parte delle prove del come Da’at sia parte integrante dell’Albero.
Amore, Forza e Bellezza (Compassione) sono tutte facoltà del sentimento
superiore.
Per la triade inferiore il legame è meno evidente, ma lo diventa se si riflette
sul fatto che Netzach rappresenta la fissità degli intenti e scopi della
personalità, Hod è il muoversi dinamico, oscillando tra cambiamenti imprevisti,
mentre Yesod è un cercare di mantenere un tracciato costante (almeno di
principio) tra la cocciuta determinazione di Netzach e il disordinato mutamento
di opinioni di Hod.
Un disegno dell’Albero, pubblicato su di una edizione del Sefer Yetzirà
del 1884, pur non menzionando i nomi delle Sefirot, mostra i Sentieri (i
canali che le uniscono) messi in modo tale da definire chiaramente la presenza
di una undicesima entità, che abbiamo evidenziato nel disegno con un cerchio
tratteggiato. La definizione avviene in virtù delle lettere che distinguono
ogni sentiero. Da’at si trova all’incrocio tra le lettere Zain – Cheit –
Tet – Yod.
Si noti inoltre come tale Sefirà interrompa i canali in diagonale, ma non
quello verticale, che unisce Keter con Tiferet, costituito dalla lettera
Beit.
Per cercare di riconciliare la presenza di Da’at con l’affermazione del
Sefer Yetzirà, che sembra escludere un’undicesima Sefirà, vengono solitamente
forniti i seguenti motivi. Da’at è una proiezione di Keter nei piani inferiori.
Per sua natura, Keter è remota ed inaccessibile, trascendente, al di là
di ogni pensiero e parola. Per potere svolgere la sua funzione di forza
unificante, Keter opera una “discesa” nell’Albero, e diventa Da’at. Quindi,
se si conta Keter non si conta Da’at, o viceversa. Le sefirot rimangono
dieci. Secondo un’altra spiegazione cabalistica, Da’at non utilizza un recipiente
suo proprio, bensì quello di Binà, l’Intelligenza. Conoscenza ed Intelligenza
sono praticamente sinonimi in quasi tutte le lingue, sebbene nell’ebraico
interpretato dalla Cabalà la differenza tra questi due termini sia grande.
Vorremmo qui offrire una spiegazione alternativa circa il criptico brano
del Sefer Yetzirà. L’espressione “non nove… non undici” non deve
venire considerata come un abbellimento enfatico. La Cabalà esclude che
nei suoi testi base vi siano parafrasi o amplificazioni linguistiche fini
a se stesse. Ogni frase è redatta secondo un codice estremamente preciso.
Se vengono citati i numeri nove e undici non è perché essi siano errori
teologici, contravvenzioni al dogma secondo il quale le Sefirot devono essere
dieci. Sono invece reali e concrete possibilità.
Ma com’è possibile che le sefirot siano solo nove? Questo è il caso dello Tzadik, della persona retta, che ha pieno controllo sul suo Yesod, l’area della sincerità, della devozione, della sessualità fisica, dell’energia sensuale sottile della personalità. Lo tzadik non deve scendere, non deve mai arrivare a Malkhut. Per lui è Yesod il livello più basso dell’Albero della Vita. Malkhut, il gioco di poteri del mondo, le preoccupazioni per il vivere quotidiano, le umiliazioni e i momenti d’orgog??lio, tutto ciò non lo riguarda. Anche se a volte deve entrare in quelle dinamiche, non ne rimane coinvolto. La sua partecipazione è puramente superficiale, come se stesse recitando una parte. Ed è in questa luce che va visto l’avvertimento del Sefer Yetzirà: le Sefirot devono essere dieci, anche lo tzadik deve scendere a Malkhut, sul serio!
Dalla parte opposta ci sta il baal teshuvà (maestro del ritorno, concetto molto vicino al “figliol prodigo”), colui che ritorna sulla via del Divino dopo avere esplorato in lungo e in largo il mondo della separazione, della confusione, della contaminazione. Egli non si è solo cibato di Da’at, ne ha fatto una grossa indigestione! Ricordandogli che le Sefirot sono dieci e non undici, il Sefer Yetzirà lo invita a cercare la trascendenza di Da’at, cioè la sua origine superiore, che è Keter. Lì c’è la medicina per gli eccessi della conoscenza!
L’undicesima Sefirà, Da’at, è quella che più caratterizza il mondo in cui viviamo, specialmente la società occidentale moderna, il più grande serbatoio di potenziale baalei teshuvà che esista! Ciò è iniziato dal momento in cui Adamo ed Eva si sono cibati dell’albero della conoscenza (Etz ha Da’at). In termini grafici, ciò ha causato un vero e proprio prolasso dell’albero
con Da’at che si distacca da Keter, scende più in basso dell’asse Sapienza-Intelligenza, e con le sette sefirot inferiori che decadono. In particolare, Malkhut ha attraversato il confine di protezione, e si è ritrovata nei piani inferiori della realtà, dove le klipot (gusci, termine metaforico indicante le forze del male) hanno un potere dominante.
Albero della Vita e albero della conoscenza si sono così mescolati, quasi confusi. Ed ecco che il Sefer Yetzirà si preoccupa di avvertire che le Sefirot sono dieci, e che la mescolanza-prolasso di Da’at è temporanea, è un guasto che va riparato.
Grazie all’avodat ha-birrurim, all’opera delle selezioni, del raffinamento delle scintille cadute, gradualmente possiamo elevare l’albero, che in futuro diventerà così:
Per quanto il lavoro di rettificazione riguardi l’intero spettro delle
dieci Sefirot, oggi, e in genere nell’epoca nella quale viviamo, l’enfasi
maggiore va posta su Da’at. È stata la prima Sefirà a danneggiarsi, e sarà
l’ultima a venire rettificata. Da’at ha un aspetto di dualismo estremo.
Nella simbologia dei colori, essa è bianco-nero. Nel giardino dell’Eden
è divisa tra bene e male. Ci muoviamo tra l’una e l’altra di queste due
sponde, avanti e indietro, guidati dal libero arbitrio, e dalla conoscenza.
Se la conoscenza è separatrice (mette in enfasi diversità ed esclusività),
non c’è riparo, non c’è sosta, non c’è sollievo. E ciò è vero per qualunque
campo al quale la conoscenza venga applicata, pratico, affettivo, scientifico,
filosofico, artistico, umanistico, politico, teologico, religioso. Se la
conoscenza è unificatrice (ricerca legami, paralleli, sincronicità, appartenenze,
pur se a livello di radice), tra bianco e nero scopriamo una scala di 256
grigi (per applicare una metafora tratta dalla moderna grafica dei computer).
256 è il valore numerico di:
Aronne (Aharon)
Fuoco (Nur)
Re Superno (Melekh Elion).
Cioè, la nostra consapevolezza viene guidata dalla scintilla interiore del
Grande Sacerdote, colui che utilizza il fuoco (l’energia) al servizio del
Re Superno, cioè di Dio, e non degli innumerevoli idoli che la consapevolezza
separata gli sovrappone.
Ma rimaniamo all’esempio legato all’informatica. Tutti sanno che il linguaggio utilizzato dai computer, e nelle trasmissioni digitali, è il sistema binario. Si tratta di una sequenza di impulsi riconducibili al susseguirsi di “pieno – vuoto”, 1 e 0. Il codice binario rappresenta lettere e numeri semplicemente come sequenze più o meno lunghe di “stati opposti”, ad es.: 00110110. Si capirà facilmente il legame di un tale sistema simbolico con Da’at, la Sefirà degli opposti, del bene e del male, del bianco e del nero. Mentre nel mondo dell’azione, dell’emozione, e del pensiero umano, si cerca sempre di tracciare il confine tra bene e male, nell’essenza interiore di Da’at, fatta del contrasto tra bianco-nero, o tra 1 e 0, è del tutto impossibile stabilire un ordine di priorità o di preferenze. Nessuno potrebbe dire se sia meglio il bianco o il nero, l’1 o lo 0. Si possono solo esprimere preferenze ed opinioni, ma fondamentalmente tra quegli opposti c’è una totale interdipendenza, c’è una necessaria complementarità.
Il nostro grande compito è allora la rettificazione di Da’at, utilizzare la danza degli opposti come la fonte del motore energetico dell’evoluzione dalla specie umana alla specie adamitica “edenica” (Adam nel giardino dell’Eden). Secondo un’antica tradizione, sia talmudica che cabalistica, ogni scoperta della scienza ha lo scopo profondo di avvicinarci maggiormente all’era della redenzione globale e definitiva. L’informatica, in particolare Internet, proprio per via del suo basarsi in un modo così totale sull’oscillazione tra due opposti, può oggi venire utilizzata come veicolo privilegiato per la diffusione della consapevolezza interiore, per rettificare Da’at.
Da’at è il massimo della libera scelta. Tutto dipende dall’uso che facciamo di Internet. Un detto talmudico afferma: “Colui che viene per purificarsi, gli viene aperta la porta; colui che viene per contaminarsi, gli viene aperta la porta”. Vale a dire, “gli strumenti ci sono, l’aiuto dall’alto anche, tutto dipende da ciò che la persona cerca, dal dove si focalizza la sua volontà, la sua attenzione”. Nell’undicesima sefirà, quella dei baalei teshuvà, dei “maestri del ritorno”, in Da’at, la danza frenetica di un’interminabile sequenza di 1 e di 0, di essere e di non essere, non genera più un solo problema esistenziale, ma può diventare il supporto, la “merkavà”, per una accelerata crescita della consapevolezza messianica. Nella Da’at rettificata, saggezza interiore (esoterismo) e saggezza esteriore (essoterismo), si abbracciano e si aiutano.
Nadav Hadar Crivelli