RILETTURA CABALISTICA
DEL CANTICO DEI CANTICI
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"Il Cantico dei Cantici" da Nadav Crivelli
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RILETTURA CABALISTICA
DEL CANTICO DEI CANTICI
Primo
Capitolo
Leggeremo insieme il Cantico,
soffermandoci su quei punti che possono essere più
significativi con il discorso del come riportare il polo maschile
e quello femminile "in armonia", anche in ciò che riguarda
la pratica del vissuto quotidiano. L'idea-guida che seguiremo nella lettura
sarà prevalentemente quella di considerare il Cantico, come
il Libro o il "manuale" che propone la via del ritrovamento della
propria polarità opposta. Tale ritrovamento diventa il
motore capace di dare la spinta alla Merkavà,
a ciò che chiameremo la "navicella spaziale della
consapevolezza realizzata" che, una volta ricevuta la spinta
necessaria, ci porta in viaggio dai mondi inferiori a quelli
superiori.
L'esperienza sessuale, romantica, affettiva, emotiva, potenzia la
polarità maschile-femminile, e il Cantico ci aiuta a
scoprire cosa vi sia di così prezioso in questo rapporto
che, se vissuto in modo armonico,
rappresenta la più alta delle possibili esperienze che si
possono fare. Infine, va ricordato che -
secondo La Cabalà. - principio
fondamentale nell'esegesi biblica è quello secondo il quale
"Chi afferra una parte dell'essenza, ha afferrato l'essenza
intera". Questo principio lo ritroviamo oggi, tale e quale,
nell'approccio "olistico" alla scienza e alla cultura. Secondo
l'olismo infatti, quando una realtà non è morta, ma
è viva e vitale, un suo pezzo contiene una immagine
microscopica, concentrata, miniaturizzata, dell'intero da cui
è stata tolta. Ora, se questo è vero per alcuni
fenomeni della natura, per esempio le cellule del corpo umano, lo
è ancora di più per la sostanza dei Testi sacri, che
non contengono solo parole, ma molto, molto di più. Quindi,
se noi afferriamo anche una parte sola della loro essenza ,
è come se avessimo afferrato l'intero, l'insieme. Ecco
perché La Cabalà. si sofferma sovente anche solo su di
una singola lettera o parola, come ci capiterà di vedere
sovente.
Inoltre
c'è un altro principio che guida l'esegesi biblica, nei suoi
vari aspetti, secondo il quale: "Tutto segue le qualità
degli inizi". Ciò che si trova all'inizio di una serie,
è il seme di tutto ciò che poi si svilupperà, esso
contiene in sé un germe che, se opportunamente analizzato,
dimostra di possedere in sé già l'edificio intero.
Pertanto presteremo una maggiore attenzione agli "elementi
primi", cioè alla prima lettera, alla prima parola al primo
capitolo e così via.
Capitolo
Primo
1 Cantico dei cantici, che è di
Salomone.
2 Mi baci con i baci della sua bocca!
Sì, le tue tenerezze sono più dolci del
vino.
3 Per la fragranza sono inebrianti i tuoi
profumi, un profumo olezzante è il tuo nome, per questo le
giovinette ti amano.
4 Attirami dietro a te, corriamo!
M'introduca il re nelle sue stanze: gioiremo e ci rallegreremo
per te, ricorderemo le tue tenerezze più del vino. A ragione
ti amano!
5 Bruna sono ma bella, o figlie di
Gerusalemme, come le tende di Kedar, come i padiglioni di
Salma.
6 Non state a guardare che sono bruna,
poiché mi ha abbronzato il sole. I figli di mia madre si
sono sdegnati con me: mi hanno messo a guardia delle vigne; la
mia vigna, la mia, non l'ho custodita.
7 Dimmi, o amore dell'anima mia, dove
vai a pascolare il gregge, dove lo fai riposare al meriggio,
perché io non sia come vagabonda dietro i greggi dei tuoi
compagni.
8 Se non lo sai, o bellissima tra le donne,
segui le orme del gregge e porta a pascolare le tue caprette
presso le dimore dei
pastori.
9 Alla cavalla del cocchio del faraone ti
ho paragonato, amica mia.
10 Belle sono le tue guance fra i pendenti,
il tuo collo fra i vezzi di perle.
11 Faremo per te pendenti d'oro, con grani
d'argento.
12 Mentre il re è alla sua festa, il
mio nardo spande il suo profumo.
13 Il mio diletto è per me un sacchetto
di mirra, riposa tra i miei seni.
14 Il mio diletto è per me un grappolo
di cipro nelle vigne di Engàddi.
15 Come sei bella, amica mia, come sei bella!
I tuoi occhi sono colombe.
16 Come sei bello, mio diletto, quanto
grazioso! Anche il nostro letto è
verdeggiante.
17 Le travi della nostra casa sono i cedri,
nostro soffitto sono i cipressi.
Cominciamo con qualche riflessione
sul titolo - che è anche il primo verso: "il Cantico dei
Cantici (in ebraico Shir ha-Shirim) che è di
Salomone" - in relazione al quale dobbiamo occuparci di
almeno tre elementi e cioè della prima lettera, della prima
parola e di Salomone. La prima lettera del Cantico è la
Shin, scritta più grande delle altre. Con questa forma
grafica non si vuole indicare una lettera maiuscola, poiché
l'Ebraico ne è privo, ma solo una lettera di dimensione
diversa, dotata di un'importanza unica ed irripetibile. In tutti
i ventiquattro Libri canonici, vi sono soltanto quattro volte che
agli inizi una lettera è scritta più grande delle
altre. La prima volta, che è anche
la più nota e famosa, è all'inizio della Torà,
nella parola "Bereshit", nella quale compare una Beit
scritta grande (1).
A tale
riguardo lo Zohar si domanda come mai la prima lettera della
Torà sia una Beit, che è la seconda lettera
dell'Alfabeto ebraico dall'inizio, mentre la prima lettera del
Cantico dei Cantici sia una Shin che,
dell'Alfabeto stesso, è la seconda lettera dalla fine. Lo
Zohar fa notare che c'è una strettissima relazione
fra questi due fenomeni. Ma quale
può essere il rapporto tra Bereshit ed il Cantico?
Qual'è il legame tra la spiegazione o il racconto di come si
è svolta la creazione del mondo e l'amore tra un sposo di
cui non si conosce il nome (si pensa che sia lo stesso Salomone),
ed una sposa di cui si suppone che il nome sia Shulamith? (Sembra
quasi il femminile di Salomone che è composto esattamente
dalle stesse lettere).
Per
comprendere il legame tra questi due libri dobbiamo riferirci
alle due Opere che costituiscono l'intera Cabalà, quelle che
i Maestri del Talmud hanno chiamato Màassè Bereshit , l'Opera della Creazione
e Màassè Merkavà, l'Opera del
Carro. La prima riguarda i segreti
ella creazione, cioè del modo seguito da Dio per creare il
mondo, in tutte le sue varie componenti, spirituali e fisiche.
L'essenza dell'Opera della Creazione è contenuta nel
Bereshit, in particolare nel primo capitolo del libro del Genesi.
Infatti, non c'è una fonte più
importante che descriva i segreti della creazione del mondo e di
come esso si evolva dal Creatore. Ma forse si potrebbe anche
dire: "si involve", poichè è lo Spirito che diventa via
via Materia, quindi perde le sue qualità di raffinatezza, di
elevatezza, di leggerezza per assumerne delle altre, quali ad
esempio la concentrazione e soprattutto la dimensione
spazio-temporale. Infatti, secondo La Cabalà., i mondi
spirituali non conoscono né la limitazione spaziale (sulla
stessa punta di uno spillo possono stare mille Angeli o
Parzufim), né la unidirezionalità del tempo che ci qui
confina nel vettore passato-presente-futuro. Si può dunque a buon titolo parlare di
involuzione, ma d'altra parte si tratta anche di evoluzione
perché lo Spirito, scendendo nella Materia, acquista
proprietà che non possedeva prima, quali la densità e
la concentrazione energetica, tanto che da un solo grammo di
Materia è possibile estrarre una enorme quantità di
energia. (vedi la teoria della relatività di Einstein, e la
famosa equazione e=m c2. Di conseguenza dal
mondo materiale è possibile operare cambiamenti che i
livelli spirituali non immaginano nemmeno. (2)
Ciò premesso, per elevarsi dagli
stati materiali, per ripercorrere a ritroso la via della
Creazione, per ritornare a quelle qualità di
immortalità e di perfezione che lo Spirito possedeva prima
di diventare Materia, e che possiede tuttora, (3) oltre all'Opera della
Creazione, ci vuole un'altra opera che permetta di ritornare allo
stato iniziale, senza però perdere
i vari gradini intermedi e quanto di buono questo mondo ha da
offrire. Questa seconda opera è chiamata "Opera del
Carro o del Cocchio", Màasè
Merkavah, ad indicare l'immagine
di un veicolo col quale viaggiare a ritroso, lungo la scala della
creazione, verso la propria dimora celeste, scoprendo i segreti e
le bellezze dei regni superni. Il termine "merkavà"
deriva da una radice indicante "cavalcare" (da un verso dei Salmi
nel quale si dice che Dio stesso "cavalca sulle nubi". Su tale
cocchio diventa possibile effettuare il più entusiasmante
viaggio che la consapevolezza umana possa immaginare. E non si
tratta di un viaggio improvvisato, scomodo, ma su di esso ci si
"mette a sedere", stabilizzando cioè la consapevolezza, onde
sia possibile percorrere "coscientemente" il cammino a ritroso.
Infatti, non si vuole compiere un viaggio a senso unico, ma si
vuole poter tornare indietro, si vuole ridiscendere da tale
esperienza mistica per riprendere a funzionare, certamente
meglio, nel mondo quotidiano.
Quanto detto lascia intuire
l'estrema complessità di tale opera, che secondo La
Cabalà. supera in difficoltà quella della Creazione.
Tutto ciò è paragonabile ad un vero e proprio "viaggio
spaziale", a bordo di un'astronave (il cocchio celeste), che
diventa possibile solo se si ha a disposizione il meglio della
scienza e della tecnologia spirituale, che La Cabalà.
afferma di possedere. Occorre inoltre una fonte energetica di
fantastiche proporzioni, per potere spingere il razzo vettore che
ci allontani dalla gravità terrestre, cioè dagli
interessi mondani, e poi ci permetta di navigare per gli spazi
celesti. Tale energia viene messa a disposizione dalla sapiente
interazione dei due poli fondamentali dell'esistenza, il
maschile e il femminile, che funzionano così come i poli
di una potente batteria atomica. Occorre inoltre dotare la
navicella di un sistema di guida, di mappe precise, e un sicuro
dispositivo di ritorno e di atterraggio. Tutto questo è
contenuto nel linguaggio altamente esoterico del Cantico dei
Cantici, il libro maestro di ogni Opera del Carro.
Torniamo ora alla lettera
"Shin" il cui aspetto grafico, è sostanzialmente costituito
da tre linee unite in basso da un punto centrale. (4)

SHIN |
La Shin, con la sua tripartizione,
è una delle più significative ed immediate
rappresentazioni dei tre pilastri dell'Albero della Vita.
Inoltre, l'insegnamento cabalistico la
pone in relazione con i tre grandi Patriarchi: Abramo a destra,
Isacco a sinistra e Giacobbe al centro. Il punto di unione, in
basso, rappresenta il popolo di Israele, che ha avuto origine dai
Patriarchi stessi. Ecco una prima prova che la Shin e, per essa
il Cantico, ha a che fare con il Carro, con il Cocchio, che -
ripetiamo - è da intendere come
qualcosa che sostiene una consapevolezza che vi si pone sopra,
permettendole di spostarsi e viaggiare.
Come dice
La Cabalà., in questo mondo l'uomo vive prevalentemente
legato alle dinamiche delle sole sette Sefiroth inferiori
dell'Albero, e cioè di Emozioni. è come se, figurativamente parlando,
all'uomo mancasse la Testa, o i "cervelli (le tre Sefirot
superiori, legate alle varie funzioni intellettuali). L'uomo non
ha cioè ancora integrato la parte superiore dell'Albero
della Vita, di conseguenza non ha la minima idea di che cosa
significhi Intelligenza allo stato puro, Sapienza allo stato
puro, per non dire della Corona, che è assoluta
trascendenza.
È il
caso di ricordare che dalla stessa radice di
Merkavah (Resh, Kaf e Beit) viene anche il verbo
"rakav" che significa: "mettere insieme i pezzi,
assemblare", come appunto avviene in un carro, per costruire il
quale è necessario unire pezzi diversi. Ebbene il Cantico
dei Cantici mira appunto ad innestare in noi un pezzo, cioè
la Testa che manca, le tre sefirot superiori. Pensiamo ad un razzo che
dà la spinta ad una navicella spaziale. Il razzo, la spinta
che porta in alto la navicella (cioè il Carro) è il
Cantico che è uno strumento di perfezionamento di tutto
l'insieme delle esperienze fisiche, sensuali, sessuali che
vengono vissute e realizzate nel rapporto
maschile-femminile. Ad esempio, nel
nono verso del capitolo primo, il Testo esplicitamente parla di
"cocchio": la sposa viene infatti paragonata alla cavalla del
cocchio di Faraone, e quindi c'è un preciso riferimento a
questa forza motrice che porta in orbita il cocchio. Avremo
comunque, presto, l'occasione di tornare su questo importante
argomento.
Passiamo ora alla prima
parola "SHIR - CANTO". Non c'è
dubbio che il "canto" rappresenti una delle più alte, se non
la più alta forma di espressione umana. Nella Torà ci
sono quattro gradini: innanzitutto le lettere vere e proprie,
intese come consonanti (che sono strumenti creativi), poi ci sono
quelle coroncine che compaiono sulle lettere quando sono scritte
a mano secondo le regole ortodosse; il terzo gradino è
costituito dalle vocali che, in realtà, hanno un valore
superiore alle consonanti perché esse danno vita alla parola
e la rendono possibile. Infine, il quarto livello sono le note
con le quali la Torà viene cantata quando la si legge
durante le liturgie.
Per questo
stesso motivo anche le preghiere vanno cantate. Infatti la
Torà non viene propriamente "letta" ma cantata, e così
nei riti più importanti bisognerebbe sempre cantare. Secondo
la tradizione ebraica in tutta la storia della Creazione ci sono
dieci canti e Shir ha-Shirim è il nono; il decimo non
è stato ancora scritto, ed è quello che verrà
cantato dalla generazione del Messia.
Dallo studio
etimologico della parola "canto" è possibile ricavare spunti
di riflessione e di comprensione. Infatti
l'espressione italiana "canto" può farsi risalire alla
radice ebraica: "c-n", che, fra l'altro, dà
origine anche alla parola "canna", la quale, a sua volta, indica
la gola, la trachea cioè il canale dove viene modulata
l'aria che serve per cantare. Inoltre la parola
"chen" (Chet - Nun) in ebraico significa "grazia",
il che richiama idee e concetti di armonia e di
simmetria.
Inoltre
è il caso di fare notare una delle possibili permutazioni
della prima parola della Torà, "In principio", in
ebraico "Bereshit". Essa contiene sei lettere che, secondo
La Cabalà. possono essere scambiate di posto, per formare
altre parole che danno vita a importanti messaggi. Uno dei messaggi che emerge, permutando la
prima parola della Torà, è "TAEV SHIR"
(Tav-Alef-Beit Shin-Yud-Resh) "desiderò un
canto". Dio dunque creò il mondo perché
desiderava sentir cantare, desiderava che il mondo cantasse. E la
creazione intera sta cantando. Si pensi alla musica delle sfere,
emessa dalle miriadi dei corpi celesti nei loro moti
meravigliosi, si pensi alla ricchezza dei fenomeni naturali in
terra, alla fioritura, al canto degli uccelli. Ma il canto che
emette la natura è parte dell'Opera della Creazione. Esiste
un canto più importante, che Dio desidera ascoltare ancora
di più: il canto che ogni essere umano deve trovare il modo
di intonare. Si tratta del canto emesso dalle opere buone, dalla
giusta conoscenza, dal fluire armonioso delle proprie emozioni,
si tratta del canto di lode e di ringraziamento della preghiera,
o contenuto nel tono gentile con cui ci rivolgiamo gli uni agli
altri. è il canto di chi armonizza
la propria vita, evitando spigolosità o angolosità,
cioè vivendo tutto "con grazia". Questa è parte
integrante dell'Opera del Cocchio.
Come
vedremo, il Cantico dei Cantici è un trionfo di
positività. Abituati agli altri libri della Bibbia, nei
quali, descrivendo le vicende umane, non mancano certo racconti
di guerre, tradimenti, uccisioni, violenze, idolatrie, e di ogni
altra forma di peccati, il Cantico lascia stupefatti per la sua
bellezza pristina, per quella sua continua atmosfera idillica e
pacifica. Fanno eccezione a ciò un paio di punti, nei quali
la sposa lamenta la perdita dello sposo ed è costretta ad
affrontare situazioni difficili. Il primo di questi due episodi
passa quasi inosservato, e si risolve in pochi versi, mentre il
secondo è decisamente più negativo. In entrambi la
sposa incontra le sentinelle di guardia alla città che,
mentre la prima volta non le dicono nulla, la seconda addirittura
la picchiano.
È qui
il caso di considerare che, se vogliamo parlare di simmetria, di
armonia, non possiamo pensare solo e sempre ad aspetti positivi,
ma è necessario che nel canto ci sia anche un risvolto
negativo che diventa quel pizzico di novità che serve ad
evitare un noioso appiattimento, e che rende il tutto più
gioioso, una volta che la situazione che ha generato il punto
critico viene superata. (5) L'importante è notare come la
proporzione con la quale si mescolano il canto ed il lamento sia
del tutto a favore della parte positiva. La sofferenza qui è
soltanto paragonabile a quel pizzico di sale che va aggiunto al
cibo e che, mentre da solo può essere immangiabile,
nell'insieme serve a dare più gusto a tutto il resto. Anche la parola "lamento", in ebraico
"chinà" (kaf-iod-nun-he) è unita alla radice che
abbiamo già visto che è costituita da una "c" e da una
"n" che sono le prime due lettere della parola "canto".
(6) Però in ebraico il nome del Cantico dei
Cantici non è Chinà Chinaoth (lamento dei
lamenti), ma è Shir Ha-Shirim. Dobbiamo
perciò capire questa parola "shir", (Shin e Resh), la
quale peraltro, in ebraico, è identica alla radice della
parola "shor" che vuol dire Toro.
Cosa
c'entra il canto con il toro? Innanzitutto, da un punto di vista
astrologico, (vedi l'articolo
sull'astrologia cabalistica) il Toro è il segno che
governa la gola, e quindi la voce, e quindi il canto. Inoltre il
Toro è un segno molto legato all'ambiente bucolico e
naturale, che è lo scenario costante del Cantico dei
Cantici, nel quale solo sporadicamente si fa accenno alla
città, come nell'episodio in cui le sentinelle incontrano la
sposa nella strada e la picchiano, o come quando si parla del
palazzo del re dove accadono cose molto più belle ed
interessanti. Per finire, il Toro è il secondo segno dello
Zodiaco, il numero due, e pertanto si lega al femminile che, nel
Cantico, assume una veste primaria e una importanza del tutto
particolare.
Ciò
premesso, considerato che spesso i commentatori hanno sollevato
delle perplessità proprio sulla interprete che rappresenta
questo femminile, e agisce in un modo alquanto libero e
disinibito, non è superfluo cercare di capire di quale
femminile intende parlare il Cantico dei Cantici. Secondo una
teoria che trova sempre maggiori seguaci, tutte le lingue hanno
radici comuni, che scaturiscono da un'unica lingua primigenia,
"sacra" per eccellenza, la lingua con la quale Dio ha creato il
mondo.
Se
consideriamo la radice ebraica "shir" o "sir" (Shin
o Sin e Resh) che, fra l'altro è anche quella della parola
legare, (qesher Quf-Shin-Resh) non è difficile
ritrovarla esattamente nella parola italiana "sir-ena". La
parola "sirena" spesso richiama un'immagine non positiva. Infatti
l'incontro con la "donna ammaliatrice" non è sempre
piacevole. Ulisse, per resistere, per non essere ammaliato e
stregato dalle sirene, si fece legare all'albero della sua nave.
Scelse in sostanza una limitazione volontaria per evitare il
legame pericoloso delle sirene, che non sono altro che il simbolo
di un femminile non realizzato, focalizzato unicamente sulla sua
componente sensuale.
Infatti
durante i millenni nei quali il femminile è stato
schiacciato dalla prevalenza, se non prepotenza maschile, si
è dovuto difendere sviluppando armi sottili, ma anche
subdole, e cioè una forma di potere nascosto, che le ha
permesso di bilanciare quell'altrimenti esagerato controllo che
l'uomo aveva su di lei. Pertanto, per una
positiva crescita delle polarità opposte, è necessario
neutralizzare il livello della donna-sirena che cerca di
ammaliare l'uomo con sottili e subdole arti, ricche di
sensualità, e mirare invece ad un incontro paritetico tra il
maschile ed il femminile, che sappia riconoscere le differenze
vibratorie e lo scopo superiore delle polarità.
Quindi, il
Cantico - come abbiamo già accennato - si propone proprio
come "un manuale" che detta o suggerisce le regole di un perfetto
incontro tra il maschile ed il femminile, dove la donna,
chiaramente e senza ricorrere a sortilegi sotterranei, assume
l'iniziativa e quasi "corre" dietro all'uomo, contro ogni regola
tradizionale. Si tratta di una "donna messianica", che già
attualizza e vive la situazione che il profeta aveva previsto
scrivendo (Geremia 31,21):
"poiché una cosa
nuova Dio ha creato in terra:
la donna
circonderà l'uomo (neqevà
tesovev gaver)",
e che viene inteso nel
senso che in tempi messianici l'iniziativa nei rapporti affettivi
passerà alle donne.
È
questa la donna che il Cantico propone sin dalle prime battute,
che nulla ha a che fare con la donna-ammaliatrice, ma piuttosto
con una donna che, scoprendo la sua femminilità fino in
fondo, si rende conto che lei è l'erede dell'energia
costruttiva e gestativa della Creazione, e quindi si muove di
conseguenza.
È un
po' quella stessa idea che troviamo in Oriente nella cosiddetta
"Shakti", che significa la
"potenza", l'energia femminile che alimenta la vita, la forma, le
creature, e che ruota intorno al
maschile che è un perno, un centro, e che si propone con una
immagine più meditatrice e moderatrice.
Questa
donna, nella sua "fattività" e "creatività", è
immediatamente alla ricerca di un possibile e positivo incontro
con l'altro elemento della coppia che, nello scenario del
Cantico, di fronte a lei contadina, si presenta quasi come
"nemico", essendo lui pastore. Non è
ancora spenta l'eco dello scontro tra i primi fratelli della
Bibbia, Abele e Caino, pastore l'uno e contadino l'altro, con i
quali incomincia la storia dell'umanità che, quasi al primo
posto dei suoi atti, pone un omicidio. Senza insistere sulla
tragicità dell'evento, è fin troppo evidente che da
quella situazione è nata una frattura nell'umanità, che
probabilmente non si è ancora sanata e che, nei secoli, ha
continuato ad essere rappresentata dalle lotte tra appartenenti a
categorie diverse.
Il Cantico,
sin dai suoi primi momenti, propone la riconciliazione, ma tale
modello o suggerimento è molto di più di una semplice
rappacificazione tra due appartenenti a categorie o culture
diverse. Qui in realtà si stanno ponendo le basi della
riconciliazione cosmica fra tutti gli elementi, per sanare una
volta per tutte la frattura iniziale alla quale abbiamo
accennato.
(continua nel
libro)
Note
(1) Oltre al Cantico e al Genesi gli altri due
Libri che hanno una lettera scritta grande all'inizio sono il
libro dei Proverbi di Salomone, che inizia con una Mem, e il
Primo libro delle Cronache, che inizia con una Alef. Inoltre
è interessante notare che tre delle quattro lettere scritte
grandi sono le stesse tre che il Sefer Yetzirà
chiama: "lettere madri", la Alef, la Mem e la Shin.
(2) Ecco perché la
tradizione ebraica - non solo religiosa - attribuisce ad ogni
buona azione, al più piccolo gesto di buona volontà nel
mondo fisico, concreto, un risultato enorme che può spostare
i mondi spirituali, mutare gli equilibri, far pendere la
bilancia dal lato della Severità a
quello della Misericordia. È qui il caso di ricordare
un'idea cara al Chassidismo, secondo la quale in ogni generazione
ci sono 36 santi nascosti che vivono nel più assoluto
rispetto delle regole, in perfetta rettitudine ed umiltà.
Grazie alla presenza di questi 36 santi nascosti, l'energia
negativa, che si accumula per effetto degli innumerevoli peccati
che vengono quotidianamente commessi, non scatena sul mondo forze
distruttive, come era invece accaduto ai tempi del Diluvio
Universale, della Torre di Babele, di Sodoma e Gomorra e
così via.
(3) Lo spirito anche se è diventato
materia rimane sempre spirito. La Cabalà. sostiene che nei
piani superiori qualcosa che si trasforma non perde mai le sue
qualità iniziali, ma ne aggiunge semplicemente delle
altre.
(4) Lo studio delle lettere dell'Alfabeto ebraico è
oltremodo importante, in quanto ognuna di esse può fornire
tutta una serie di elementi che aiutano a comprendere meglio i
"messaggi" delle Scritture. Inoltre, secondo La Cabalà.,
anche il valore numerico delle lettere è molto
significativo, come pure la loro forma e il loro suono. Esse sono
il rimanente della Luce infinita che riempiva lo spazio prima
dello Tzimtzum, sono le scintille di infinito e di perfetto
rimaste nel mondo, e grazie alle quali
ogni cosa è venuta all'esistenza. Per una prima comprensione
dei segreti delle lettere rimandiamo al testo di Rabbi Itzach
Ginzburg "The Hebrew Alphabet", o alle
dispense"Introduzione alLa Cabalà." (I° Parte)
di Nadav Crivelli, pubblicate dalla scuola "La Sapienza della
Verità". Infine la scuola Chassidica insegna che il livello
di conoscenza più elevato della Torà, non si raggiunge
necessariamente alla fine di una lunga carriera di studio, ma
è presente fin dall'inizio dello studio dell'Alef-Beth;
cioè, sin da quando si incominciano a distinguere le lettere
una dall'altra. Tramite la loro semplice osservazione e
pronuncia, tramite il semplice sentirne l'attrazione e il
fascino, si entra in contatto con il più alto dei contenuti
spirituali di tutta la Torà. In definitiva, anche se non si
conosce l'Ebraico il solo guardare le lettere crea un contatto
con un elevato livello spirituale, nonostante che, in apparenza,
non si registra una qualche particolare influenza
"cosciente".
(5) Ci sono diversi modi per interpretare questi due
momenti di sofferenza. Per esempio se pensiamo alle vicende che
il nostro secolo ha vissuto, potremmo interpretarli come la prima
e la seconda guerra mondiale; rapportandoli ad una persona
potremmo vedere come due grandi prove iniziatiche attraverso le
quali si deve passare nella vita. Vedremo infine che i Maestri
hanno letto nel lamento e nelle vicende della sposa la profezia
dei due grandi esili del popolo ebraico, il primo a Babilonia,
durato soltanto 70 anni, e il secondo quello causato dai romani
(Edom), che dura da quasi duemila anni, culminato nella tragedia
dell'olocausto.
(6)Al riguardo va precisato che non è una forzatura
ignorare la "t", la terza lettera della parola canto,
poiché, quando si studia nei dettagli una radice (che in
ebraico di solito è costituita da tre lettere) si può trascurare la terza lettera se si vuole
arrivare alla radice essenziale, alla "porta". Ad esempio
guardiamo la parola "pastore".
L'etimologia la riporta a "pasto", all'idea di mangiare, ad una
radice indo-europea che è semplicemente "pa". Non a caso, in
ebraico "phe" è la bocca.
Tratto dal libro: "Uno studio Cabalistico del Cantico
dei Cantici", scritto da Nadav Crivelli e Giuseppe
Abramo |