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B”H 

“NAASSE VE NISHMA’“

FAREMO E ASCOLTEREMO 



Daniela Abravanel 

Scuola di Torà e Cabalà 



Vorrei introdurre questo corso con alcuni chiarimenti riguardo al suo scopo e ai metodi da usare per aiutare i lettori
nel loro cammino verso la realizzazione spirituale. 

L’obiettivo non è quello di portare i lettori a un superiore livello di conoscenza nel campo della Torà, perché ci sono
indubbiamente rabbini ben più preparati di me per dare questo tipo di insegnamenti. Desidero invece, grazie
all’elaborazione degli insegnamenti dei maestri che ho frequentato in questi ultimi anni, dare degli strumenti per
trasformare gradualmente - ma con determinazione e costanza - la qualità della propria vita. E questo grazie alla
messa in pratica dei principi della tradizione orale ebraica. 

Il metodo è quello dell’esperienza, della sperimentazione. Partendo da un insegnamento siamo invitati a metterlo in
pratica immediatamente, prendendo appunti e ricevendo dei feedback sulla sua validità dal campo dell’esperienza. 

Il versetto biblico “Faremo e Ascolteremo” allude a questo concetto: solo quando metteremo in pratica, mettendo
da parte dubbi e resistenze, gli insegnamenti ricevuti, potremo capire, “ascoltare” il loro messaggio più profondo.
Che non può venire rivelato se non dall’incontro e la sperimentazione nella realtà: non a caso il nome di Dio a
Quattro Lettere, il Tetragramma, viene pronunciato a volte Havaia, che significa esperienza dello Spirito e delle sue
leggi, ossia imparare ad avere esperienze dirette e non fermarsi e limitarsi solo ad aride concettualizzazioni. 

Quello che sto imparando in questi mesi con Noa è che chi vuole apprendere deve andare in giro con penna e
carta, e fare del mondo e della realtà in cui vive il “banco di scuola” su cui verificare e apprendere la Torà. 

Uno dei passaggi centrali della preghiera ebraica dice: 

Iehi noam Hashem aleinu, u masse iadenu konena aleinu. 

Sia la beatitudine di Hashem su di noi ed Egli stabilisca il lavoro delle nostre mani. 

Ovvero l’esperienza estatica e l’illuminazione devono sempre essere seguite dalla sperimentazione
dell’insegnamento. 

In Cabala si allude a ciò con il concetto di “ratzo va shov” (correre in alto e tornare indietro a terra, per
realizzare ciò che si è appreso in alto) e nel concetto di Or Iashar (luce diretta –quella che ci viene da Dio) e Or
Chozer (Luce ritornante, quella a cui diamo forma noi, col nostro rispondere all’appello divino nel modo
appropriato): se non c’è feed-back nella pratica, dopo un po’ l’Or Iashar si estingue. 

A questo riguardo la moderna psicologia ha scoperto il ruolo delle dita nella creazione dell’intelligenza. Ricerche
hanno dimostrato che bambini che apprendono a suonare il piano, o altri strumenti musicali, sviluppano più
velocemente la loro mente. 

Il ruolo delle mani dei Sacerdoti nella Bircat Cohanim (la Benedizione Sacerdotale) allude proprio all’unificazione di
questi due archetipi: la mano che prega e si innalza in alto e che dopo aver ricevuto la luce si rivolge verso
l’orizzontale, verso l’alterità e il mondo, per rettificarlo. 

Uno dei target della nostra Scuola è quello di permettere all'allievo di conoscere se stesso, le proprie aspirazioni e i
propri limiti (ed essere capace di accettarli...la parola Cabala significa tra le altre cose proprio "accettazione"). 

Il grande rabbino Ibn Ezra diceva che è impensabile uscire da una prigione senza conoscerne perfettamente la
struttura. Grazie agli insegnamenti dei maestri proporremo ad esempio all'allievo il "compito" di scoprire se la sua
anima deriva dalla “shoresh” spirituale (ognuno di noi ha una "radice" spirituale che determina la qualità della nostra
esistenza) corrispondente alla Sefirà Keter (la Corona) o alla Sefirà Malkut (il Regno). 

Se siamo potenzialmente collegati al mondo di Keter o Azilut e all'esperienza della Profezia, il nostro lavoro
spirituale sarà quello di costruire i "kelim", gli strumenti con cui fare discendere la luce nel piano reale (imparando a
suonare uno strumento, esprimendo le nostre idee scrivendo, usando il computer, o la pittura). 

Se invece siamo della anime che hanno la loro radice nel mondo di Malkut o Assia, nel mondo del Fare, allora nostro
compito sarà quello di iniziare a usare le nostre "mani" con un contatto sempre più significativo con la Corona...e
allora le case che costruiremo, la musica che faremo, saranno ispirate da un livello di coscienza superiore a quello di
Assia, che spesso manca del fuoco dell'ispirazione profetica.[1] 

La lettura della Scritture e il contatto difficile ma fondamentale tra Profeta e Re ci aiuteranno a capire l'importanza
di arginare il baratro tra questa due dimensioni. 

Le parole del Navì (Profeta) restano "aria", se il Re (Melekh) non le riceve, capisce e mette in pratica. Lo stesso
accade anche alle nostre meditazioni, alle intuizioni che riceviamo durante la preghiera, o durante lo studio dei testi
sacri. 

Il complesso rapporto tra il Re David e il profeta Samuele (e il profeta Natan dopo di lui), è un esempio della
centralità dell'armonizzazione, anche al nostro interno, delle due figure, profeta e re. 

Il re David è uno dei pochi re che compì in maniera perfetta l'integrazione tra i due ruoli, divenendo sia profeta che
re, oltre che condottiero e giudice. 

La dinamica tra teoria e prassi, ispirazione e pratica, è alla base della religione ebraica. Sei giorni alla settimana
lavorerai e metterai alla prova la profondità dell'integrazione dei dati e degli insegnamenti spirituali elaborati durante
il sabato e nelle ore di studio e meditazione settimanali. Nella pratica si ha un feedback che rende addirittura
possibile un livello di comprensione più elevato di quello ricevuto inizialmente dall'insegnamento teoretico. Per
questo motivo gli ebrei si attengono al dovere di NASSE VE NISHMA (FARE E ASCOLTARE...prima fare e poi
comprendere, ascoltare l'interiorità, il significato profondo dell'insegnamento spirituale). 

Teoria-prassi-teoria (di un livello superiore) portano a una prassi più illuminata ed a una comprensione più elevata,
a una prassi più pura. 

Quello che cerco di comunicare è che gli studenti idealmente dovrebbero munirsi di penna e carta e iniziare, subito,
a mettere in pratica gli insegnamenti, e a cercare di annotare il feedback che la nostra azione ci mette di fronte,
riguardo alla nostra comprensione dei testi. 

Il focus della nostra scuola riguarda infatti quegli insegnamenti della Torà che aiutano l'individuo a vivere la gheulà,
la Redenzione: 

1- non come una realtà che si realizza esclusivamente nel Futuro. Come mette giustamente in luce il pensiero
buddista, e anche quello cabalista, presentare la redenzione, la gheulà come un'aspirazione che proietta nel futuro
più o meno lontano lo stato di liberazione dell'anima, è un’idea tipicamente occidentale-cristiana; 

2- non come un fenomeno che dipende esclusivamente dall'intervento miracolista di un Redentore, ma dalla
maturazione e dalla scoperta all'interno di ciascuno di noi di quella “nekudat ha Mashiach”, quella “scintilla di
Messia” che è potenzialmente presente in ciascuno di noi e che va attivata. 

La scuola si propone di dare agli allievi una serie di strumenti per giungere a vivere a un livello di consapevolezza
che ci porta a essere "testimoni", senza rubare nulla alle pratiche buddiste...Infatti la preghiera centrale
dell'ebraismo, lo “Shemà Israel” “Ascolta Israel” allude a questo concetto in vari modi. 

Innanzitutto nello Shemà esistono due lettere scritte in grande, Ain e Dalet, che formano la parola ED, testimone.
Inoltre la parola Sh-M-A è divisa secondo i maestri in tre lettere che impartiscono tre diversi ordini alla coscienza: 

Sh....fa il silenzio dentro di te 

Ma...guarda il "ma"...il "cosa" hai di fronte...la realtà oggettiva che stai vivendo 

A(in)...scopri l'Ain, l'occhio interiore che ti aiuterà a capire e a agire a un livello di consapevolezza più elevato. 

Dunque iniziamo a leggere e a studiare queste prime pagine non in maniera teoretica, ma cercando di trovare nella
realtà che viviamo un feedback che ci permetta di integrarle nella nostra consapevolezza. 

Se non siamo capaci di integrare al nostro interno i due archetipi, almeno dobbiamo essere coscienti di quale
aspetto siamo carenti, e cercare di colmarlo in simbiosi con qualcuno che invece lo possiede. Per fare un esempio
classico, nelle yeshivot, i collegi rabbinici, da migliaia di anni gli ebrei portati allo studio della Torà possono svolgere
questa attività grazie al supporto economico di altri ebrei capaci invece di produrre denaro (e di finanziare con esso
le yeshivot). Similmente nel caso della costruzione di una casa, l’architetto, dopo averla ideata deve rivolgersi in
genere a un costruttore, a meno che non sia in grado di usare le mani oltre che la fantasia….. 

In genere questa simbiosi è fondamentale perché la comunità sia sana. Ma se, come nel mondo moderno, gli uomini
di Assia si staccano completamente dai maestri spirituali, la loro mancanza di recettività alla Luce farà si che la loro
esistenza sia grigia, priva di ispirazione, e che anche la loro attività perda il brio che potrebbe avere se essi
mantenessero un contatto con i moderni “profeti”. 

Allo stesso modo, persone di grande apertura al mondo delle idee, se non incontrano una persona in grado di
incanalare e trovare il modo di rendere usufruibile la loro fantasia, resteranno spesso e volentieri dei geni, dei
riformatori della società frustrati o addirittura folli. Forse a questo si riferisce il passo del Talmud che dice che
nell’era che precede la redenzione la profezia si troverà tra i bambini e i pazzi…. 



Avodat Hadimion. Il Lavoro (spirituale) dell’immaginazione 

Secondo il libro della Formazione, uno dei 12 “chushim”, dei 12 “sensi” da sviluppare nello sviluppo spirituale è la
“reià”, il “senso della visione”, dell’immaginazione, del “sechel tov”, del positive thinking, sul quale negli ultimi anni
anche le moderne psicologie hanno posto il centro della loro attività. 

La scelta del tema dell’immaginazione come inizio di questa serie di interventi dedicati alla meditazione e alla studio
della Torà, deriva dal fatto che secondo i Saggi tutti i mali del popolo ebraico ebbero la loro origine dall’uso
negativo dell’immaginazione, quando, nel mese di Tamuz/luglio, le spie tornarono dalla loro missione di esplorazione
della terra di Israele in uno stato di totale scoraggiamento, che li portò a comunicare al popolo tale convinzione:
noi siamo deboli e vulnerabili come formiche…non ce la faremo mai a vincere la guerra contro gli abitanti di
Canaan…. 

Ebbene, spiegano i commentari, Dio si adirò tanto di fronte a tale mancanza di fede, che li punì, e con loro tutto il
popolo, con la creazione di una realtà identica a quella prevista dalla loro nera immaginazione, nella quale Israele
sarebbe veramente stata come delle formiche nei confronti dei suoi nemici. 

Per questo motivo, il Libro della Formazione, quando insegna agli ebrei le varie doti spirituali che dovrebbero
sviluppare, pone il senso “dell’immaginazione” in corrispondenza al mese di Tamuz/luglio, mese in cui l’immaginazione
negativa aveva sferrato un brutto colpo al popolo ebraico. Mese in cui quindi c’è maggior bisogno di effettuare il
tikun, la rettificazione del senso dell’immaginazione. 

Per spiegare la centralità dell’uso dell’immaginazione sia nell’avodà, nel servizio divino dell’ebreo, che nei processi di
guarigione e nelle psicoterapie, vorrei che si meditasse brevemente su un fondamentale insegnamento della
Chassidut e di Rabbi Nachman: 

“Prima che il gzar din sia emesso, si può pregare in maniera diretta, ma dopo il gzar din bisogna usare il
“sipur”, la metafora”. 

E Rabbi Nahman spiega questo insegnamento facendo l’esempio di Mosè che prega per la sorella Miriam -che Dio
aveva fatto ammalare e divenire lebbrosa. In tale situazione Mosè invece di dire “Ti prego fai guarire Miriam”, disse
“Refa na La”, “Ti prego, falla guarire”. Il verbo guarire non ha un oggetto specifico, ovvero Miriam, ma un generale
“essa” (una descrizione a livello di metafora). 

Una delle interpretazione della letteratura cabalistica dell’uso della metafora nella preghiera è che essa confonde il
Satan, e per questo Rabbi Nahman insiste sull’uso del “sipur”, del racconto, della descrizione simbolica della realtà,
per opporsi ai decreti negativi del Cielo. 

Cerchiamo di chiarire ulteriormente il versetto di Rabbi Nahman: 

prima che ci sia stato un decreto negativo si può pregare in maniera diretta, ma dopo bisogna ricorrere al “sipur”,
alla parabola. 

In termini psicologici la comunicazione diretta riguarda l’Io, mentre la parabola e il simbolo riguardano il
superconscio. Quando si è instaurata la malattia o qualche disfunzione psico-fisica, ovvero DOPO il gzar din,
(l’annunciò di un imminente fallimento, o di una malattia seria) l’Io – il principio di realtà- è talmente coinvolto dalla
realtà contingente che è incapace di immaginare una realtà diversa da quella descritta dal gzar din. 

Solo il superconscio, le cui funzioni sono associabili a quelle dell’anima, se aiutato a liberarsi dalla zavorra
dell’immagine che la coscienza si è ormai fatta della situazione, può trascendere il contingente e immaginare,
visualizzare, sviluppi assolutamente diversi da quelli proposti dalla realtà presente. E il superconscio vive di simboli,
di immagini, di parabole, non di razionalità e dei suoi limitati mezzi di comunicazione. 

Per questo Rabbi Nahman insegnò 

ci vuole il potere del simbolo per uscire da una” zarà”.[2] 

L’intera psicologia moderna (dalla psicanalisi alle varie tecniche di visualizzazione, alla meditazione stessa) è basata
su tecniche che hanno un unico fine: aggirare l’Io, la mente e raggiungere il superconscio. 

Cerchiamo ora di capire queste idee partendo dalla Cabala. 

Secondo La Cabalà. Dio è soltanto bene, e alla radice di ogni piccolo o grande male che Egli ci invia c’è solo la Sua
volontà di farci del bene, facendoci crescere, a volte con prove. Quindi se riusciamo, attraverso il “sipur”, il
simbolo, a risalire all’origine di ogni cosa e di ogni fenomeno, lì, nel luogo privilegiato per la riunificazione degli
opposti , troveremo anche il segreto della guarigione. 

Per fare un esempio classico del mondo della Cabalà., prendiamo l’Albero. Il “din”, il giudizio severo che a volte
dobbiamo affrontare rappresenta solo un ramo della Realtà Assoluta, dell’Albero della Vita. Se riusciamo a
risalire all’origine dell’albero, scopriremo le sue radici e, in esse, la fonte di ogni benedizione. E’ li che è possibile
effettuare la trasformazione del polo negativo in positivo, trovare l’altra faccia delle medesima medaglia. 

Similmente scrive Bruno Calderoni, uno dei più autorevoli esperti di psicoanalisi e allievo del grande maestro della
psicosintesi Assaggioli: 

“La duplicità del simbolo, il ponte dell’analogia, avvicinano due pensieri talora opposti tra loro, per fonderli in un
oggetto unico e nuovo. La quotidianità spesso è questo stallo tra due o più opzioni che paralizzano fino
all’impossibilità di agire. Il simbolo, la metafora sembrano possedere la capacità di condurre a quella dimensione in
cui l’opposizione conosce un magico equilibrio, in cui l’impulso alla vita e il suo contrario riescono a far funzionare
creativamente l’esistenza degli individui. Forse non si è lontani dallo scoprire l’Unità che si nasconde nei lati opposti
della medaglia. 

Il terapeuta che crea visualizzazioni conosce il terreno infido della simultanea compresenza nel reale di un fondo
sonoro luminoso e vitale e di un abisso di tenebra silente mortale nel quale ogni espressione, ogni voce definita
affonda: il conflitto e la sua impossibilità di superamento (il gzar din). Se non a condizione di rimanere complici del
mistero, raccontando l’ineffabile (il sippur) perché dirlo, vederlo - come insegna la più alta lezione della mistica -
equivale a rompere, a uscire dalla propria forma individuale”. 

Ovverosia il simbolo come mezzo per uscire dai limiti della coscienza. 

Analogamente Rabbi Nahman ci insegna il significato dell’analogia che illumina e guarisce: 

Nel mondo normale si racconta una storia per fare addormentare, 

nella chassidut si racconta un sippur per risvegliare…. 

In altre parole ciò che non può essere accettato dall’Io del talmid, o del paziente, se posto di fronte alla sua
coscienza in maniera diretta, può evitare la censura dell’ego se “travestito” in forma di simbolo, di sippur
(racconto). Esso possiede quindi il potere di “risvegliare”. 

Di fatto tutti i sippurei massiot, i racconti della chassidut, sono metafore del complicato cammino dell’anima, che
lascia il mondo divino di cui è parte per incarnarsi, e per tornare alla sua origine dopo varie peregrinazioni. 

La maggior parte delle storie hassidiche sono metafore di questa peregrinazione dell’anima, e del processo di
“ricordo”, di riscoperta e di ritorno all’origine unica di ogni realtà. 

Il Baal Shem Tov aveva non a caso un’unica classica domanda che poneva a chi incontrava: “tu che cosa
ricordi?”. 

Freud, forse grazie alle sue origini ebraiche, intese l’importanza di questo ricordo, ma rimase bloccato all’infanzia,
come se prima di questa e della nascita non vi fosse nulla. E allora le mille peregrinazioni dell’anima si risolvono nel
limitatissimo quadro familiare, in una penosa orizzontalità che non concede altre possibili interpretazioni ai conflitti
dell’anima, o meglio della psiche, come lui la chiama. 

Jung invece riconosce la realtà della dimensione spirituale e in seguito Assaggioli rende la psicosintesi una vera e
propria terapia dell’anima alla ricerca di Se stessa e della sua origine divina . 

Ritroviamo lo stesso processo terapeutico nelle tradizioni degli Indiani d’America (come quelle narrate dal Don Juan
di Castaneda) e nello Yoga. 

Nelle antiche tradizioni Indiane dello Yoga Vashista , in particolare, si insegna che si può raggiungere l’illuminazione
se si incontra un maestro in grado di raccontarci la storia della nostra anima, di tutte le sue peregrinazioni,
risvegliando nell’essere umano la memoria della sua origine. Sembrano le parole del Baal Shem Tov o dell’Arizal...... 

Un vero maestro inoltre può trasformare la vita dell’allievo attraverso un modo diverso di interpretare e di narrare
la sua storia. Secondo questa prospettiva la trasformazione della coscienza che avviene spostando la
consapevolezza da un’immagine negativa a una positiva opera anche nel mondo reale, trasformando la realtà
stessa. 

Il Talmud ci conferma tale verità. Esso narra di due saggi che avevano spesso sogni simili e che andavano a farseli
interpretare da un famoso rabbino interpretatore di sogni. Uno di questi saggi era divenuto il beniamino del rabbino,
anche per la generosità con cui lo retribuiva e i suoi sogni erano sempre interpretati positivamente. La sua vita
scorreva placidamente, con i sogni che si avveravano felicemente cosi come erano stati interpretati. 

Il secondo saggio invece riceveva sempre delle interpretazioni dei suoi sogni poco incoraggianti e di fatto le
disgrazie potenzialmente in essi contenute e apertamente interpretate dal rabbino si avveravano. 

Di fatto la realtà è energia Divina in stato di potenzialità. La nostra coscienza può operare come un trasformatore,
in una direzione o in un’altra, in quanto come anche Einstein insegna, la consapevolezza, l’energia, è materia. 

Il Talmud riporta anche il caso di un uomo che andò a farsi interpretare un sogno da dieci rabbini diversi i quali
dettero ognuno un’interpretazione diversa: tutte e dieci si avverarono: il potere del sippur, del simbolo e della sua
interpretazione (il sogno è il simbolo per eccellenza) aveva creato dieci realtà diverse. 

Similmente, oggi, una delle tecniche della psicologia umanistica è di far riscrivere al paziente la propria storia, di
fargli cambiare quei dettagli e in particolare quelle immagini negative che avrebbero sulla sua coscienza e sulla sua
vita le stesse conseguenze che ebbe per Israele l’immagine delle formiche di fronte ai propri nemici. 

Una delle tecniche che useremo è l’osservazione, la contemplazione di alcune immagini dipinte da artisti che hanno
una profonda conoscenza della Torà e della Cabalà., e partire da esse per uscire dai limiti della nostra coscienza e
della nostra esistenza 




L’Alef rappresenta l’Infinito, il Divino, e la sua capacità di contenere gli opposti (non a caso uno dei nomi di Dio è
Nosse Afahim). 

Se entriamo nel disegno e osserviamo attentamente come è disegnata l’Alef noteremo che la iud superiore (posta
sopra la Vav, la linea verticale che unisce i due opposti, le due iud, i due punti) è di colore rosso e la sua
struttura lineare è marcata da verticali. Essa dunque rappresenta l’azione, il maschile, lo yang, il “re” di cui
parlavamo. 

La Yud inferiore, in blu, con le linee orizzontali, rappresenta il femminile, lo yin, il riposo, la riflessione. Ognuno di
noi ha virtualmente la possibilità di passare in maniera armonica dall’azione al riposo, dall’attività creativa alla
riflessione, alla preghiera, senza trovarci sbilanciati su uno dei due poli. Molte persone sono malate di iperattività,
non sanno interrompere il lavoro se non quando lo stress li obbliga a mettersi “orizzontali” attraverso qualche
malattia. 

Cerchiamo di meditare su questo archetipo della completezza e di vederci capaci di portare equilibrio nella nostra
vita, passando dal rosso dell’azione al blu della contemplazione: cerchiamo di immaginare come imparare a sostare
quando siamo stanchi o a darci una scossa quando siamo apatici. 

Visualizziamo con chiarezza la nostra iperattività, vedendoci immersi in una luce rossa, sentendo l’intero organismo
entrare in uno stato di stress, dal battito cardiaco alle immagini della mente, tutto è troppo veloce… 

Vediamo ora una benefica pioggia di luce blu che viene a ristorare la nostra anima e che ci permette di riprendere il
contatto con il nostro centro: la nostra anima divina che si nutre della “menuchà”, del riposo, del rilassamento. La
luce blu ci ricorda le parole del Baal Shem Tov: 

“ogni giorno un ebreo dovrebbe cercare di sperimentare per qualche minuto il riposo di Shabat” 

Sentirsi completo e rilassato, libero di immergersi nella contemplazione. 

Al contrario, quando siamo presi dall’apatia, o quando qualche forma di strisciante depressione ci impedisce di
essere attivi e creativi, visualizziamo un fuoco, e ricordiamo il versetto: 

“esh tamid tukad al a misbeach lo tikbe” 

“Il fuoco eterno dell’altare non deve mai spegnersi”. La nostra creatività non va lasciata morire dalle spinte
distruttive dell’apatia e della mancanza di ispirazione. Lasciamo che il fuoco ravvivi la nostra fede, il nostro
entusiasmo, il nostro corpo…. 

Ogni volta che capiamo che ci stiamo squilibrando chiamiamo in aiuto l’Alef: essa ci aiuterà a capire quando è il
momento di vivere il nostro lato maschile e quando quello femminile (concetto chiamato in Cabalà “il due che
diventa quattro”: la vera coppia che scopre tutte le potenzialità dell’anima umana). L’Alef è il Maestro (Aluf)
interiore, chiamiamolo quando ne abbiamo bisogno…. 

Daniela Abravanel 

e-mail daniela.abravanel@gmail.com 

[1] Le anime di Assià hanno facilità ad agire nel mondo materiale, a costruire, organizzare, usare Kelim (strumenti).
Invece le anime di Keter o Azilut sono capaci di ricevere molta luce, ma non hanno i "kelim" per farne uso...Mick Jagger, in
altre parole, se avesse la luce, farebbe un uso diverso dei kelim che sa suonare così bene.

[2] Zarà significa sia luogo stretto, che "angustia", crisi, grossa difficoltà.B”H